Turi Papuni

"Si parti lu papuni senza veli, sparma lu focu e metti a caminari; Tu ti cririvi tuccari li celi, cu li to' manu li stiddi pigghiari."

I summenzionati versi, son le prime frasi di un canto popolare che affonda le sue radici profonde nella memoria di una terra amata, una terra ricca di ricordi contrastanti la cui lingua romanza neolatina fa da culla alla nostra cultura, all’essenza stessa dell’essere siciliani.

Papuni dal latino Vapor - BastimentoPapuniPapuni dal latino vapor, era il nome applicato anticamente ai bastimenti o navi a vapore, ma a motivo del suo significato, fu anche il nome dato a un mezzo di trasporto che collegava Misilmeri con Palermo, una diligenza o carrozzone per il trasporto di una dozzina di passeggeri trainato da un cavallo.

Questo nome, Papuni, simbolo di forza, di energia e di vigore, fu il soprannome attribuito ad un uomo di grandi valori, dopo una notevole prova di forza, quest'umo si chiamava Turi Palazzolo. Si racconta che in un’occasione Turi Palazzolo fu capace di caricare sulle proprie spalle e in una sola volta diversi covoni di grano appena raccolto. Da quella prova di forza paragonata alla spinta di un enorme bastimento o alla forza di traino di un grande carro, nacque il soprannome Turi detto "Papuni", un uomo di grande forza, ma anche di grande talento e coraggio, un nome rimasto indelebile nell’inesorabile corso del tempo.

Tuti-PapuniQuesto sito in honoris, che comprende un albero genealogico (Papuni Genealogy) e delle foto d'epoca, verte alla scoperta di quel padre di pochi, nonno di alcuni e bisnonno e trisnonno di tanti altri ancora, che hanno il diritto nonché il piacere di conoscere chi era Turi Papuni.


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Chi era Turi Papuni

Io sono l’ultimo della prole Salvatore Palazzolo detto Papuni. Quando è morto mio padre io avevo 7 anni ed ora ne ho 70 anni.

Turi Papuni nacque a Palermo nel 1898, da Lorenzo Palazzolo e Giuseppina Finazzo, visse a Cinisi, un paese in provincia di Palermo a forte densità mafiosa, ma anche con forte senso della giustizia sociale. Infatti io sostengo che a Cinisi si nasce mafiosi, amanti della giustizia, studiosi, e purtroppo gli scemi del villaggio vengono importati. Turi Papuni in questo paese acquisì il senso dell’onore e del rispetto.

Egli fu orfano di madre all’età di 3 anni, rimase con i fratelli Giuseppe, Procopio, Mariannina e Giovanna. Giuseppe il più grande partì per l’America, ed il nonno Lorenzo ogni mattina d'estate svegliava i più piccoli Turi e Mariannina e se li portava in campagna in contrada “Carruba di Gabbia” dove li sistemava sopra un sedile di pietra chiamaro “aricchena” e gli faceva riprendere il sonno interrotto, in inverno, invece, li metteva al riparo dentro una mangiatoia.

Della fanciullezza di mio padre so pochissimo, non frequentò le scuole, ma sapeva mettere la sua firma e sapeva fare i conti. Mia madre mi diceva che era un uomo molto intelligente, non andare a scuola per quei tempi era una cosa normale in quanto si viveva in una società agricola-pastorale dove interessava la mano d’opera e non gli studi, perciò non c’era un controllo da parte dello Stato, né delle famiglie riguardo alla scuola. La fanciullezza di mio padre passò attraverso le mucche, le capre e le pecore, così egli ebbe l’occasione di conoscere bene gli animali e di saper fare ottimi formaggi. Infatti, sempre a detta di mia madre, per un paio di anni lavorò alla Polenghi Lombardo, un caseificio presso Milano, dove lui insegnava a fare certi formaggi.

Durante la sua giovinezza si innamorò di mia madre, un amore corrisposto ma non accettato dalla famiglia di lei che lo considerava di classe inferiore, in quanto i nonni materni avevano un pastifico e per la figlia auspicavano un uomo più facoltoso, che non "puzzasse di stalla", così Turi Papuni e Maricchia vissero i loro sentimenti scambiandosi occhiate a distanza, in attesa del consenso dei nonni, infatti Turi Papuni non accettava la fuitina come gli consigliavano gli amici.

Prima dello scoppio della prima guerra mondiale, mia madre mi raccontò questa storia: in estate i mandriani ed i pastori facevano la transumanza, cioè pecore e mucche venivano portati “A ghiri a da via” verso delle zone all’interno della Sicilia nei pressi di Piana degli Albanesi, Corleone, San Giuseppe, in queste zone esistevano dei feudi dove gli animali potevano pascolare. Da quanto ho potuto capire si crearono dei gruppi che si dividevano i pascoli e poi, all’interno del gruppo, si dividevano i lavori, ed il comando era in mano agli anziani i quali gestivano la lavorazione del formaggio mentre ai giovani spettava la manovalanza intesa come pulizia delle pentole, prendere l’acqua, avere a che fare con i vitelli ecc. ecc. Un girono gli anziani comandarono ad alcuni giovani di andare a prendere l’acqua al fiume (l’unico fiume che c’è in questi paraggi è il fiume Jato), ma la risposta fu un secco NO da parte dei giovani, (non so la motivazione del no). Mio padre allora prese i secchi e andò al fiume, li pulì, li riempì d’acqua, poi si fece una bellissima verga di salice e ritornò al bivacco; arrivato lì, mise i secchi in mezzo all’accampamento e si allontanò. I primi a correre per bere furono proprio coloro che si erano rifiutati di andare a prendere l’acqua, ma appena si abbassarono per bere ricevettero delle vergate dietro la schiena con l’ordine da parte di mio padre di andare a bere al fiume, in quanto l’acqua era stata presa per gli anziani. In questo modo Turi Papuni veniva stimato per il suo coraggio, la sua forza e la sua correttezza.

Un altro racconto narratomi da mia zia Marianna che mette in evidenza la sua forza fu una lotta greco-romana (chiamata mezza prisa) fatta con suo fratello Giuseppe che era tornato dall’America dove aveva "fatto fortuna". La posta in gioco era a senso unico: chi batteva Giuseppe riceveva un vestito. La sfida inizialmente era contro il fratello Procopio che era più grande di mio padre, il quale fu battuto da Giuseppe. Mio padre a questo punto, allettato dalla posta in gioco, si offrì per la sfida, ma Giuseppe rivolgendosi a lui confare sorridente gli disse che era ancora piccolo e che non poteva partecipare per la sua giovane età. Dopo tanta insistenza da parte di mio padre Giuseppe accettò la sfida. Questa volta furono tolti il tavolo e le suppellettili che potevano intralciare i lottatori, furono messi dei materassi a terra e cominciò la lotta che al dire di mia zia durò a lungo. Il risultato fu che lo zio Giuseppe con sua meraviglia fu battuto da mio padre, il più piccolo della famiglia e con gioia diede a mio padre tre vestiti ed un orologio d’oro che aveva portato dall’America. Quell’orologio per volontà di mio padre è stato dato a me e lo erediterà mia figlia Ester come da consuetudine.

Non avendo conosciuto mio padre, io sono cresciuto sempre con il desiderio di sapere che tipo di persona egli fosse nel sociale e nella famiglia. Ho saputo che in famiglia era un tipo rigoroso per i tempi che correvano nel dopo guerra, nel sociale era una persona pronta ad aiutare chi era in difficoltà e consigliava a tutti di essere retti e precisi nel lavoro che svolgevano. Il rimprovero che dava ai giovani era: <<figli d’oro!>>. Chi lo ha conosciuto inoltre lo ha descritto come un uomo forzuto, preciso, ottimo sensale ed ottimo conoscitore degli animali e per tutti la sua parola era un contratto.

Scoppiata la prima guerra mondiale suo fratello Giuseppe fu mandato al fronte, ma lui aveva 18 anni ed era ricercato a Palermo per andare in guerra, quindi si gingillava a Cinisi pascendosi delle occhiate di Maricchia, ma quella bella vita non poteva durare in quanto tutti i giovani partivano per la guerra e lui no, quindi o per la legge o per qualche spiata Turi Papuni fu mandato direttamente al fronte in quanto era ottimo tiratore. Al fronte faceva il conducente e trasportava munizioni da un posto all’altro dove la battaglia era più accesa.

Mia madre mi racconta che una notte mentre dormiva sotto il carro carico di munizioni, per ripararsi dall’umidità della notte, sognò sua madre che gli diceva di spostarsi da sotto quel carro,  che la sua vita e quella degli altri che erano con lui era in pericolo. Egli provò a svegliare gli altri raccontando gli del sogno. Alcuni si convinsero a spostarsi di là e lo seguirono, altri ripresero a dormire sotto il carro. Poco dopo, gli Austriaci cominciarono a lanciare tiri notturni di artiglieria e centrarono il carro con un proiettile ed il risultato fu che chi vi rimase sotto ci rimise la vita.

Un altro episodio di guerra raccontatomi da mia madre: a causa della Bora (un forte vento che soffia a Trieste e nella zona orientale del Nord Italia) andò a finire in mezzo agli austriaci (era di notte) per non farsi prendere prigioniero scese a valle tra dirupi e crepacci. Il giorno dopo ha dovuto fare da guida ai soldati italiani che con successo occuparono e neutralizzarono un nido di mitragliatrice che sembrava imprendibile.

Anche se in prima linea, Turi Papuni, oltre a cercare di portare la pelle a casa pensava a Maricchia e mandava ogni giorno cartoline all’amata. Ma il postino per errore faceva recapitare la posta ad una persona anziana e Marcchia per 4 anni non ha avuto notizie del suo amore. Finita la guerra ci fu il rientro dei sopravvissuti. Mio zio Giuseppe ritornò con una cancrena ai polmoni causata dal gas che buttavano, mio padre torno sano e vegeto con l’unico pensiero di sposarsi e talmente era il desiderio di vedere la sua amata che arrivando al passaggio a livello di Cinisi  saltò dal treno per risalire il Corso con passo svelto. Un forte acquazzone venuto in quel momento  lo costrinse a ripararsi da una signora che volentieri lo accolse in casa, specialmente  sapendo che veniva dal fronte. Mentre mio padre rispondeva alle domande curiose della vecchietta e fuori continuava a diluviare, gli occhi si posarono sulle cartoline che la vecchietta teneva in bella vista. Per la sua mente passarono tanti pensieri, poi chiese alla donna di quelle cartoline e la donna disse che le erano state inviate da un sconosciuto anzi voleva sapere se lui lo conoscesse. Mio padre rispose che lo conosceva troppo bene e che le cartoline non erano state mandate a lei, ma alla sua Maricchia. Chiarito l’equivoco invitò la signora a prendere le cartoline e portarle a mia madre e dirle che lui era tornato. Così fu fatto.

Turriddu e Maricchia si sposarono e cominciarono ad avere figli (Giuseppe, Faro, Lorenzo, Giuseppa, Giovanna e Emanuele) e inizialmente si dedicò all'attività pastorizia.

Un altro aneddoto che mostra il suo buon cuore raccontatomi da mia madre si riferisce a un fatto verificatosi durante la transumanza: egli condivideva la stalla con un giovane che aveva due vitelli. A quel tempo la radio e la televisione non c'erano ancora e per passare il tempo si raccontavano i fatti di vita. Il giovane raccontò a mio padre che non appena fosse ritornato al suo paese avrebbe venduto un vitello e si sarebbe sposato. Ebbene, purtroppo al ragazzo rubarono i vitelli, ed entrò nella disperazione, mio padre si interessò e riusci a fargli avere una somma di denaro superiore al valore dei vitelli stessi.

Durante gli ultimi anni della sua vita ha cercato di indirizzare i suoi figli alla pastorizia, mentre lui si è dedicato all’attività di mediatore o "sensale", ma i figli scelsero strade diverse.

Turi Papuni mori per una infezione presa di setticemia epatica, la malattia durò circa nove mesi. Prima di morire chiamò mia madre comunicandogli che stava per morire, quindi mi raccomandò a lei in quanto io ero piccolo e di riferire ai miei fratelli più grandi di stare in pace tra loro, poi chiudendo gli occhi, mio padre, Turi Papuni, esalò l’ultimo respiro.

Anche se non ho avuto il piacere e l'onore di crescere insieme a lui (cosa che avrei tanto desiderato), serbo nel mio cuore un ricordo piacevole e indelebile di un uomo la cui essenza era fondata sull'onore, la lealtà, il coraggioso e la forza, tutte virtu' desiderabili, racchiuse dentro un nome, il nostro nome, "Papuni".

Papuni.com